Renato Guttuso, Ritratto di Moravia, 1982, olio su tela, cm 122 x 95 Casa Museo “Alberto Moravia”, Roma
Renato Guttuso, Ritratto di Moravia, 1982, olio su tela, cm 122 x 95 Casa Museo “Alberto Moravia”, Roma

Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle (Roma, 28 novembre 1907 – Roma, 26 settembre 1990), è stato uno scrittore, giornalista, saggista, reporter di viaggio e drammaturgo italiano. Considerato uno dei più importanti romanzieri del XX secolo, ha esplorato nelle sue opere i temi della sessualità moderna, dell’alienazione sociale e dell’esistenzialismo.

In occasione dell’anniversario della morte di Alberto Moravia, avvenuta il 26 settembre 1990, mi accingo a scrivere di Roma, di quella Roma vissuta ed interiorizzata dallo scrittore che ne fa non semplicemente lo sfondo dei suoi romanzi ma uno specchio della società e dei suoi profondi cambiamenti. Da via Sgambati dove Moravia ebbe i natali in zona Pinciana alla sua casa a Lungotevere Vittoria. Per Moravia Roma è un misto di vitalità e decadimento, un humus letterario nel quale immergere le sue storie, i suoi personaggi, le contraddizioni di una società che si va progressivamente disgregando e corrompendo.

Lungotevere della Vittoria, 1 00195 ROMA (RM) tel. 063203698 www.fondoalbertomoravia.it
Lungotevere della Vittoria, 1 – 00195 ROMA (RM)
tel. +39. 06 3203698 www.fondoalbertomoravia.it
Dal 2007 è un museo Casa Museo si trova anche la sede dell’“Associazione Fondo Alberto Moravia”, di cui è presidente Dacia Maraini. Un’ala della dimora prospiciente il Tevere, adibita a Bed & Breakfast, contribuisce al sostentamento dell’Associazione.

Così ebbe a scrivere Moravia su Roma: “Sono nato e vissuto a Roma e ho avuto sempre gli stessi problemi insoluti e insolubili nel mio rapporto con la città”.   «Una piccola città mediterranea, quasi più piena di monumenti che di case», una città che ha tentato sempre invano di trasformarsi in una vera capitale europea senza riuscirci poiché sempre un po’ provinciale.
Una città costretta dalla Storia ad assumere un ruolo internazionale senza essere mai in grado di staccarsi dalle radici antiche, fino a costituire un reticolo sconfinato di rioni e quartieri, quasi cittadine adiacenti, repliche infinite di un modello antico, un ibrido immenso.
Ma forse proprio per questa natura ambigua, accattivante e straniante, gentile e spietata, rozza e raffinata, Moravia trova a Roma lo spazio ideale, lo specchio per la sua stessa indole, umana e letteraria.
Lo scrittore Alberto Pincherle era allo stesso tempo aristocratico e immerso nella carnalità, o almeno nel desiderio della carnalità, come un gourmet cerebrale e combattuto che non tocca gli oggetti ma si inebria in segreto di odori e profumi, senza confessarlo neppure a se stesso. Pincherle, mezzo marchigiano e mezzo veneto, per metà nordico e per metà dell’Italia centrale, con una voglia di solarità contrastata da uno Stato Pontificio ancora presente a dispetto dei secoli, trova a Roma l’oggetto ideale per il suo amore e il suo odio. Perché si può odiare solo ciò che si ama profondamente, ciò che ci assomiglia, e quindi ci spaventa, nell’atto stesso di attrarci in modo irresistibile.

Pier Paolo Pasolini, con Alberto Moravia e Maria Callas
Pier Paolo Pasolini, con Alberto Moravia e Maria Callas

Moravia, costretto a fare i conti con la sua origine borghese, vissuta come privilegio e colpa, messa a confronto in modo ineluttabile con la radice schiettamente popolare del suo amico-collega Pasolini, a Roma, negli ambienti della sinistra fedele ai dettami ideologici, vive da straniero, come il protagonista del romanzo di Camus, alla ricerca di una verità autentica che sfugge continuamente. Non gli resta allora che utilizzare le armi che ha a disposizione, la parola, la scrittura, la fuga e il ritorno.
Moravia ridisegna la città nei suoi libri e nei suoi scritti. Non per trasformarla in un’improbabile Arcadia moderna. Per tramutarla, piuttosto, in un luogo vivibile, per lui e per tutti gli esseri complessi e multiformi, gli stranieri che necessitano radici e gli indifferenti che provano, a ben vedere e sentire, profonde passioni. Riscrive la toponomastica della città, ma in modo che ogni luogo reale sia riconoscibile. In pratica allontana la donna amata ma senza lasciarla uscire dal raggio del suo abbraccio e del suo sguardo.
Lo stesso avviene anche con le sue innumerevoli fughe, i viaggi all’estero, lunghi, infiniti, in luoghi esotici veri, difficili, non da cartolina illustrata. L’India, la Cina, l’Africa, luoghi fertili di umanità sofferente e vitalissima. Distanti, dal suo mondo, dal suo elegante Lungotevere Vittoria.
Eppure, l’eterno ritorno, una volta ritrovata la macchina da scrivere, è quello nei luoghi angusti della città eterna. Moravia rifugge i grandi spazi, ha bisogno di concepire storie che si svolgono tra le stanze di un appartamento, i corridoi, le stanze da letto. Si immerge nelle vastità del mondo per poi ritornare a pensare ai microappartamenti romani, là dove si svolgono guerre invisibili e micidiali, là dove l’umanità combatte le battaglie evolutive, quelle per la sopravvivenza, quelle della resistenza all’assurdo, alla pressione annichilente dei rapporti interpersonali, a quella noia invisibile e strisciante che avvelena la voglia di vivere.

La Roma di Moravia non è mai quella da dépliant turistico ma neppure quella dei quartieri degradati,  con il cemento grigio e grezzo che divora prati periferici.
La sua Roma è allo stesso tempo un’idea e un ascensore reale, di metallo, che conduce ad una casa reale, borghese, con tutto il bene e tutto il male che può contenere, sia l’abitazione borghese che la parola che la definisce.
Per questa ragione Moravia e Roma sono un binomio così forte, perché è una simbiosi autentica, fatta di attrazione e paura. Roma è l’amante imperfetta da cui lo scrittore e l’uomo Moravia si staccano per poi ritornare, nel momento stesso in cui si accorge di non essersene mai allontanato veramente, neppure a migliaia di chilometri di distanza.
Roma è l’amante che cambia con gli anni, restando alla fine se stessa. Quella che si vorrebbe vedere mutare veramente, lasciando dietro di sé le meschinità, le minuscole e becere ruberie, le furbizie da poco e gli intrallazzi autolesionistici. L’amante che si spera possa cambiare dentro, e invece muta solo pelle, diventando solo ricoperta di plastica dai colori fosforescenti. Dentro, rimane la stessa. Ma tutto ciò non cambia l’amore nei suoi confronti. Non lo muta di segno né di intensità. Perché quella imperfezione, quel mutamento fittizio e sofferto, è lo specchio delle contraddizioni che Moravia sente e percepisce intensamente in ciò che vive e ciò che scrive.
Per Alberto Moravia Roma è il luogo dove ritornare dai suoi continui viaggi che lo videro protagonista fino agli ultimissimi anni di vita.
I viaggi gli permisero di sperimentare il cosmopolitismo, di confrontarsi, di conoscere grandi personalità politiche quali Nehru, Tito, Arafat, Ceausescu e Castro e che egli seppe far rivivere in molti articoli e libri ad essi dedicati.

La vita romana di Moravia si muove per il centro tra le case di via Sgambati al quartiere Pinciano, via dell’Oca a Ripetta e quella ultima sul Lungotevere della Vittoria. Difficile da inquadrare tanto è distante la Roma dei salotti da quella delle vecchie borgate o delle attuali zone dormitorio. La città  è un arcipelago e il punto di vista di Moravia è necessariamente parziale. Eppure, proprio per questa ambivalenza intrinseca, il suo modo di narrare, il suo approccio con la materia descritta nei suoi libri, forniscono una delle rare immagini in grado di riassumere in un’unica cornice i volti contrapposti, le diverse nature, gli errori e gli orrori, le debolezze e gli slanci, sia della sua specifica città di elezione sia, in un contesto più ampio, di tutti gli esseri che, tra città e borghi, mura soffocanti e progetti di orizzonti, provano a tramutare la noia in vita e il disprezzo in attenzione.


Roma, anche grazie a Moravia, rimane un sentimento che ti lega senza alcuna catena. Non una destinazione, un’icona, un topos, ma parte integrante di chi la vive e l’ha scelta, volente o nolente, come suo “fondale”.

di  Ivano Mugnaini

VIAGGIO AL CENTRO DELL’AUTORE
Un viaggio è un’opportunità unica per conoscere, scoprire, stupirsi, apprendere ma anche un modo per ricordare, per non dimenticare. In questa mia rubrica, non parlerò di viaggi o di luoghi ma di scrittori, letterati e poeti che con la loro opera hanno impresso una traccia forte sul territorio, l’ambiente ed il contesto che li ha ospitati o che essi hanno eletto come loro topos ideale, fonte di ispirazione e di ricerca.

 

 

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Di Ivano Mugnaini

IVANO MUGNAINI si è laureato all'Università di Pisa. È autore di narrativa, poesia e saggistica.
Scrive per alcune riviste, tra cui “Nuova Prosa”, “Gradiva”, “Il Grandevetro”, "Samgha", “L’ Immaginazione”. Cura il blog letterario DEDALUS: corsi, testi e contesti di volo letterario, www.ivanomugnainidedalus.wordpress.com.
Ha curato la rubrica “Panorami congeniali” sul sito della Bompiani RCS. Suoi testi sono stati letti e commentati più volte in trasmissioni radiofoniche di Rai – Radiouno. Collabora, come autore e consulente, con alcune case editrici. Cura e dirige i "Quaderni Dedalus", annuari di narrativa contemporanea.
Ha pubblicato le raccolta di racconti LA CASA GIALLA e L'ALGEBRA DELLA VITA , i romanzi IL MIELE DEI SERVI e LIMBO MINORE.
L’algebra della vita (Greco & Greco, 2011), Inadeguato all’eterno (Felici editore, 2008), Il tempo salvato (Blu di Prussia, 2010)
Tra i critici ed autori che si sono occupati della sua attività letteraria ricordiamo: Vincenzo Consolo, Gina Lagorio, Ferdinando Camon, Raffaele Nigro, Giorgio Saviane, Paolo Maurensig ed altri.

2 pensiero su “Moravia: Roma è davvero solo un fondale?”
  1. Articolo molto interessante che stimola la lettura e l’approfondimento. Una bella idea quella di scoprire uno scrittore partendo dai luoghi che lo hanno influenzato. Complimenti a chi ha scritto l’articolo, meriterebbe di essere letto nelle scuole.

    1. Ti ringrazio per l’attenta e gradita lettura, Amedeo. L’intento dell’articolo, e quello della rubrica di cui fa parte, è proprio quello di mettere in relazione scrittura e luoghi, intensi sia come luoghi fisici che come dimensioni della mente, del ricordo e dell’immaginazione. Ti ringrazio anche per il bell’auspicio, quello riguardante le scuole. Un saluto, Ivano Mugnaini

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