Parliamo di editoria alternativa e temi legati alla spiritualità orientale e a modelli di aggregazione sociale differenti dai nostri canoni. Incontriamo Manuel Olivares e il progetto Viverealtrimenti.
Sociologo di formazione, attivo principalmente tra Londra e l’Asia, nella primavera 2008 a Goa (India) inizia a strutturare il progetto Viverealtrimenti, nato dall’esigenza di avere strumenti di divulgazione autonomi, dopo le sue tre esperienze editoriali con la casa editrice Malatempora di Roma che aveva pubblicato: “Vegetariani come, dove, perché”; “Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia” e “Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo”. Gli ultimi due testi, in particolare, rappresentavano nel nostro paese gli unici lavori organici sull’argomento (validi anche come guide), raccogliendo un buon riscontro.
Per cominciare lo strumento di divulgazione più semplice non poteva che essere un blog. Così nell’aprile del 2008 nasce viverealtrimenti.blogspot.com, presto strutturato come un magazine on line e articolato in diverse sezioni. Nell’autunno dello stesso anno inizia a prendere forma, a Chiang Mai, nel nord della Thailandia, il sito in stretta sinergia con il blog, rappresentandone un capiente database. Viverealtrimenti.com diventa presto il sito della Viverealtrimenti Editrice fondata nel 2009, con l’intento di offrire maggiore spazio a quanto accade nel mondo meno raccontato dai media del mainstream o per raccontarlo in modo più focalizzato.
Viverealtrimenti vuole essere un progetto divulgativo di istanze che non siano immediatamente riconducibili a ciò che di abusato ed ordinario esiste intorno a noi. Non una ricerca di originalità ma di autenticità che, come tale, non può non essere “altrimenti” rispetto ad un mondo dove domina l’eterodirezione e la massificazione che ne deriva. Mi chiedi se rappresenti anche uno stile di vita: auspicabilmente sì, nel momento in cui la teoria, se non è corroborata da fatti, resta confinata nel mondo, piuttosto sterile, delle sole idee” – spiega Manuel Olivares.
Nel maggio del 2010 escono i primi due titoli: “Comuni, comunità ed ecovillaggi”, che vuole rappresentare “la fioritura” dei due testi che l’hanno preceduto sullo stesso argomento, e “ Un giardino dell’Eden “, il primo lavoro di fiction di Manuel Olivares, ambientato in parte in comunità ed ecovillaggi di fantasia ed in parte in India. Negli anni successivi la Viverealtrimenti si arricchisce di diversi, nuovi titoli, coinvolgendo autori abbastanza affermati nell’ambito della piccola e media editoria e del personal development. Ad esempio Fabio Guidi, psicologo specializzato in psicosintesi, fondatore della comunità di Hodos ed autore, per Viverealtrimenti, de I miei anni con Gesù; Cristina Pacinotti, sorella del fumettista e regista italiano Gipi ed autrice di Luogo Comune ; Juma Vitali, counselor olistico, ideatrice del Lifewingsmethod® ed autrice di “The New Family; le comunità della Nuova Era”, in versione italiana ed inglese. Sempre in italiano e in inglese sono stati pubblicati i testi “Yoga dall’autentica tradizione indiana/Yoga based on authenthic Indian traditions”, avendo come maestra di riferimento la yogini di Varanasi Smriti Singh. Nell’ultimo anno ha visto, infine, la luce “ Gesù in India? “ frutto di circa dieci anni di ricerche (in libreria, biblioteca e, soprattutto, sul campo) avendo come base la città santa di Varanasi. Nel corso della stesura del testo ha preso corpo una proficua collaborazione tra Viverealtrimenti e la Comunità Islamica Ahmadiyya di cui speriamo di tornare presto a parlare.
Dalla nascita della casa editrice ad oggi c’è stata anche un’evoluzione nel tuo percorso professionale, nel tuo lavoro di ricercatore e scrittore. In cosa consiste la tua ricerca, come nasce, si struttura e prende vita il testo?
M.O. Parto dal presupposto che la realtà superi finanche le più ardite fantasie e che dunque sia l’ambito privilegiato di ricerca. Per questa ragione ― parlo qui da ricercatore e autore più che da editore ― mi sono impegnato maggiormente nella stesura di saggi più che di fiction. Ho seguito diversi filoni di ricerca, il primo dei quali è stato quello comunitario da cui sono scaturiti i testi sulle comunità intenzionali e gli ecovillaggi.
Per me è stato molto importante, sin da subito, andare sul campo. Tendo ad essere piuttosto “sensoriale” nell’approccio ai miei ambiti di ricerca. Non mi bastano dati, che possono essere anche raccolti on line oramai, ho bisogno di incontrare persone, di “sentirle”, di sentire odori, sapori, digerire atmosfere. L’incontro diretto è per me importante, la creazione di rapporti umani anche perché ritengo che le stesse emozioni rappresentino dati significativi. Non credo sia giusto ignorare le sensazioni (e le conseguenti dinamiche emotive) che emergono quando si visitano determinati posti o determinate persone, a mio modo di vedere vanno ascoltate per quello che sono. Non possono essere considerate oggettive (anche se nella mia esperienza si sono non di rado rivelate valide) ma non vanno nemmeno liquidate come fenomeni che non debbano interferire con l’impianto razionale della ricerca. Dunque posso risponderti che la ricerca è importante abbia radici più o meno significative nell’esperienza e poi proceda, sinergicamente, sul fronte libresco o, comunque, teorico. Non a caso i testi che ho prodotto, sulle comunità intenzionali e gli ecovillaggi e il mio ultimo sugli eventuali anni che Gesù avrebbe trascorso in India sono, in parte, diari di viaggio. Assimilare una ricerca a un viaggio, nel mondo delle idee e sul campo (con le varie sensorialità annesse e connesse), credo sia il mio modo di procedere per la stesura di un testo.
Dal testo “Comuni, comunità ed ecovillaggi” (2010 edizione per Viverealtrimenti) a “Gesù in India?” cosa è accaduto?
M.O. Parliamo qui, ancora, della mia dimensione di autore, che francamente preferisco a quella di editore. Di nuovo: il viaggio. Tra il 2010 e oggi ho vissuto in maniera nomadica, tra l’India, la Thailandia, Londra e l’Italia. Ho cercato di farmi fecondare il più possibile dalle esperienze incrociate in diversi paesi e diverse culture, cercando di trarre, di volta in volta, provvisorie conclusioni. Un’altra questione importante per il mio viverealtrimenti (che però non deve necessariamente condizionare il più generale progetto divulgativo, dove ciascuno è bene trovi le sue risonanze e possa “suonare il suo strumento”) è che il mondo non basti calpestarlo ma sia necessario anche interpretarlo. Anche qui siamo di fronte a una sinergia tra esperienza ed elaborazione, anzi: ri-elaborazione teorica. Ho conosciuto persone che hanno calpestato molte strade del mondo senza comprendere, a mio giudizio, granché perché, pur facendo esperienza, hanno trascurato la dimensione “ermeneutica” e alla fine finiscono per bombardare il prossimo di episodi cosmopoliti ma, in ultima analisi, in assenza di un filo rosso che li unisca, poco interessanti (fatti salvi alcuni aspetti pratici; il viaggiatore vive molto anche di “dritte”).
La tematica degli eventuali anni indiani di Gesù mi affascinava da molti anni, la trovai la prima volta nel testo La bibbia di Rajneesh. Avevo circa 25 anni, parliamo dunque di vent’annni fa. Vivendo in India avevo avuto modo di approfondirla leggendo il bestseller “Jesus lived in India” dello storico delle religioni Holger Kersten, fino al momento in cui le sole letture non mi bastavano più ed ho intrapreso il mio primo viaggio nella terra di elezione di questo filone di ricerca: il Kashmir. Da quel momento sono scaturiti, naturalmente direi, altri viaggi, altre, “dense” letture di cui ho dato conto nel mio testo, esperienze memorabili, incontri ed amicizie straordinarie.
Le tue ricerche su sistemi sociali e socio-urbani alternativi alla vita cittadina in senso stretto, proseguono?
M.O. Sì, anche se mi piacerebbe inserirle in prospettive di più ampio respiro. Anche il filone di ricerca sulle comunità intenzionali e gli ecovillaggi mi è stato ispirato da un libro di Osho (su Osho Rajneesh ho fatto la mia tesi di laurea in sociologia): La grande sfida. Osho proponeva “un mondo di comuni” come altamente desiderabile e in questo individuavo interessanti risonanze con quanto avevo ritrovato in alcune prospettive libertarie, sia “classiche” (Proudhon e Bakunin), sia contemporanee (Murray Bookchin). Credo che esperimenti di tipo comunitario possano essere di grande stimolo nella ricerca di un modo di vivere meno alienante, di viverealtrimenti. Trovo, però, che chi li ispira debba stare attento, come ho scritto in più di un libro, a derive settarie e forme di rifiuto del mondo che possano facilmente confinarli in una marginalità e autoreferenzialità un po’ sterili.
Io ho sempre sostenuto che questi esperimenti debbano avere un rapporto biunivoco con il “mondo ordinario”, da cui non mi sembra saggio fuggire, pur prendendosi lo spazio necessario per non farsene condizionare in modo deteriore. Nel momento in cui lo scambio tra realtà comunitarie e mondo ordinario si riduce, a seguito di una ― pur sottile ― “deriva settaria” o per un atteggiamento ― troppo spesso ideologico ― di rifiuto, credo si sciupino molte opportunità interessanti di crescita collettiva. Per questo trovo sia vitale le esperienze delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi escano dalla nicchia e mi sembra alcuni passi interessanti, in questa direzione, si stiano facendo.
Ti sei mai avvicinato alle forme di socialità comunitaria tipiche dei centri urbani come Roma, quali possono essere quelli in centri sociali occupati o realtà simili a Casa Pound, ad esempio?
M.O. Ho frequentato i centri sociali per diversi anni quando ero più giovane. Le trovavo realtà vitali e stimolanti, pur a fronte di alcuni limiti. Ora però dovrei ritornarci, vedere cosa è cambiato negli ultimi dieci o quindici anni visto che in quest’arco di tempo non li ho frequentati in modo significativo.
Oltre ad aver girato in altri paesi asiatici, da diversi anni vivi tra l’Italia e l’India. La tua vita in versione indiana cosa porta di nuovo all’ottica delle tue ricerche e dei tuoi libri?
M.O. Banale dire che l’India apre orizzonti sconfinati ma è proprio così.
È un ottimo modo per scoprire un’altra, sfaccettatissima, dimensione del reale. Per un occidentale, riuscire a trovare una relazione profonda con l’India significa assimilare il concetto stesso di diversità e coglierne la grande ricchezza. Dunque una delle mie convinzioni che si sono consolidate in India è che si debba avanzare verso una società genuinamente plurale, nel momento in cui non è immaginabile un’uniformazione del genere umano sotto, ad esempio, un unico credo monoteistico. Penso questa debba essere una lezione importante per chi ha ancora una “prospettiva apocalittica” per cui, alla fine dei tempi, un credo si affermerà su tutti gli altri.
Può sembrare una prospettiva astratta ma mi sembra evidente che condizioni a fondo il rapporto tra i due più grandi universi religiosi a livello mondiale: il Cristianesimo e l’Islam. A livello maggiormente locale non mancano altri fondamentalismi (ad esempio in ambito hindu in India e, anche, in ambito buddhista; basti pensare ad alcuni fenomeni di intolleranza e persecuzione di minoranze etniche e religiose in Sri Lanka e Myanmar) che ostacolano una pacifica convivenza tra culture diverse.
Ritengo che anche chi è impegnato, non di rado meritoriamente, nell’affermazione di un credo (soprattutto monoteista) dovrebbero valorizzare di più la ricchezza della diversità e inserire il proprio lavoro in una cornice di società plurale. Accettare dunque che la propria espansione, in termini ad esempio di conversioni (alludo qui a una dimensione religiosa perché rappresenta un esempio particolarmente calzante, ma naturalmente si possono considerare, allo stesso modo, i credi ideologici), non possa non essere arginata dallo spazio che inevitabilmente debba essere lasciato ad altri. Sviluppare, insomma, un’etica della diversità e della pluralità, che ne affermi un indispensabile rispetto.
Credo alla grande ricchezza della diversità, al viverla come una grande opportunità (penso, a questo proposito, al potenziale affascinante che rappresenta oggi “l’invasione dell’Europa” da parte dei migranti, pur con tutti i problemi che si porta dietro e a quanto sia povera e idiota la prospettiva dell’innalzare muri). Il diverso ci rigenera, ci aiuta a riscoprire bandoli profondi della nostra identità e credo che oltre a un’etica si debba sviluppare una cultura dell’incontro e del dialogo, per questo trovo fenomeni come il dialogo interculturale ed interreligioso molto affascinanti.
Potrei dirti tante altre cose sugli, insegnamenti che ho avuto dall’India e da altri paesi asiatici in cui ho soggiornato per periodi anche relativamente lunghi di tempo. Ad esempio come la riscoperta di alcuni valori tradizionali della nostra stessa cultura che sono declinati in maniera diversa. Di qui, il loro inquadramento in una nuova, rigenerante prospettiva e, in parte, una loro ri-valorizzazione… potremmo andare avanti a lungo. Per ora fermiamoci qui!
Il tuo ultimo libro “Gesù in India?” vuole essere anche un raccordo tra l’esperienza sapienzale di matrice asiatica e l’occidente? In che modo possiamo trarne benefici?
M.O. Il leitmotiv del testo è la transculturalità della grande figura storica di Gesù. Vivendo a lungo in India ho scoperto che appartiene anche a quel paese, tanto alla sua anima hindu, quanto a quella musulmana. Facendo ulteriori ricerche in ambito musulmano emerge chiaramente come Gesù
(in arabo: Issa) venga anche ampiamente valorizzato, per citare il titolo di un testo di alcuni anni fa, come “profeta dell’Islam”. Una valorizzazione simile la troviamo in ambito buddhista, dove è considerato un bodhisattva e in ambito esoterico e new age (penso al Vangelo acquariano, ai responsi di Edgar Cayce, ai lavori dei coniugi Givaudan e non solo). Citando l’introduzione al testo “Gesù in India?”:
«Un Gesù transculturale può aiutare a ridurre le distanze tra mondi che si considerano, forse erroneamente, ancora molto diversi e, allo stesso tempo, infondere nuova energia a una cristianità inesorabilmente in crisi».
Potremmo anche pensare alla figura di Gesù come a un’antica e nuova pietra angolare di un modo oramai globalizzato, consapevole della propria intrinseca pluralità e le cui diverse anime imparino a dialogare nel reciproco rispetto invece di confliggere, a volte solo in modo subdolo, per cercare di imporre, ciascuna, il proprio credo, religioso o ideologico che sia. Una visione oggi utopica, certo ma la si potrebbe anche iniziare a considerare come prima, possibile espressione dell’era messianica e la realizzazione del vero messaggio cristiano!
Parole, lingua e linguaggio, arte e le nuove tecnologie sono quel filo rosso con il quale mi diverto a tessere le mie giornate. Innovazione e sviluppo di nuovi orizzonti gli spunti che mi fa piacere incontrare. Giornalista, editor, copy writer e content media. Dopo la laurea in Filosofia del Linguaggio e della Mente a Napoli, mi trasferisco a Roma dove mi specializzo in comunicazione per il web e i nuovi media e per diversi anni sono caporedattore del mensile “Next Exit, creatività e lavoro” approfondendo temi di economia della cultura. Ho curato la pubblicazione di diversi progetti editoriali, tra cui Young Blood, annuario dei giovani artisti italiani, e RomaCreativa, per fare una mappatura dei creativi italiani nel mondo e nella capitale.
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Un’intervista che stimola una grande curiosità, senza giudizi moralistici.Notevole il video allegato
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