Insieme al gruppo dei fotografi di Meetup Photography Social Club Roma, organizzato da Osvaldo Sponzilli, e il gruppo UFR (Uscite fotografiche a Roma) abbiamo visitato il monte dei Cocci e perlustrato tutta la zona con un bel giro del quartiere Testaccio.
La passeggiata in una bella giornata di inizio settembre parte dalla Chiesa di S.Maria Liberatrice che campeggia sulla piazza dei Giardinetti di Testaccio risistemati durante la giunta Rutelli è tra i primi cinque monumenti dei caduti di Roma. Si tratta dell’unica chiesa del quartiere è nota soprattutto per la Festa della Madonna che l’ultima domenica di maggio richiama molte persone. Un luogo di culto molto importante e simbolo del rione.
Dopo una prima visita all’interno della chiesa, alle 12 l’appuntamento è all’ingresso del monte dei Cocci, un luogo che è possibile visitare solo organizzando gruppi di visitatori e con visite guidate. Così il folto gruppo di fotografi itineranti si dirige con passo spedito lungo la strada per raggiungere il monte mentre Osvaldi Sponzilli con la nostra guida anticipa la storia e l’origine del monte.
Storia del Monte dei Cocci
Com’è noto il monte è costituito dalla sovrapposizione dei cocci che i romani depositavano in questo luogo scelto della città, poco lontano dal Tevere dove c’era l’attracco delle navi che da Roma portava lungo l’Impero. Il quartiere a ridosso di questo lato del Tevere, l’antico porto romano, divenne il luogo adibito ai traffici commerciali e allo smaltimento dei manufatti.
Parliamo di 25 milioni di anfore che nei decenni sono state accumulate. La maggior parte delle anfore erano utilizzate per portare olio, principalmente verso la Spagna, in Andalusia. Ma perché venivano poi distrutte?
Erano dei vuoti a perdere, e avendo contenuto olio non potevano essere riutilizzati se non ben puliti, così i romani per salvaguardare la qualità li rompevano e li mischiavano con calce e pozzolana (una malta idraulica che rendeva ancora più resistente l’impasto). Naturalmente la pratica rispondeva a norme igieniche e urbanistiche: con l’impasto, infatti, si teneva pulita tutta l’area adibita allo smaltimento dei recipienti utilizzati e venivano circoscritti in un luogo apposito, a breve distanza, ma che non intralciasse tutte le altre attività legate ai traffici portuali.
Ma quando, nel tempo, Ostia divenne il porto principale, il Tevere perse man mano la sua attrattiva. Arrivavano sempre meno navi e iniziò l’abbandono della zona per motivi commerciali. Dall’alto medioevo in poi tutto il quartiere venne abbandonato e divenne una zona sempre meno sicura e malfamata.
Verso il ‘500 e il ‘600 si fece strada l’idea di utilizzare il quartiere Testaccio come zona di baccanali e così la piana divenne luogo di gite fuori porta e giochi carnevaleschi fino ai primi del ‘900… ma il monte restò sempre in disparte, completamente abbandonato.
La visti al Monte dei Cocci
La vista dal monte è amplia, con il bel cielo terso si vedono all’orizzonte i Castelli. Sovrastiamo l’ex Mattatoio di Testaccio, fatto costruire alla fine dell’800 dall’architetto Ersoch per creare il più grande complesso di macellazione e distribuzione della carne nella capitale.
Ma tornando con lo sguardo in alto, da destra a sinistra possiamo abbracciare tutta la città in un veloce colpo solo. Il ghetto e la Sinagoga, l’Aventino con la Chiesa del Priorato di Malta, il Gasometro… fino a tornare centro del monte, alla croce, la stessa che faceva da sfondo alla morte dell’Accattone nel film di Pasolini.
Ridiscesi dal monte, si torna in direzione Tevere, e si incrocia:
Porticus aemelia subito dopo la Chiesa di Santa Maria Liberatrice.
La fontana sul Lungotevere detta il Fontanone di Testaccio.
La vasca è costituita da un Sarcofago e di opere provenienti dall’Africa e dall’Asia, che venivano trasportate e spesso abbandonate lungo questa sponda. Siamo a ridosso del vecchio porto, sulle rive si intravedono ancora dei resti, ma non è possibile scendere e visitarli.
Dall’altro lato del Tevere c’è Porta Portese, e ad unirci c’è il Ponte Sublicio che nel VI sec A.C. collegava la zona etrusca di Porta Portese con Piazza dell’Emporio dove c’era il porto di Ripa grande.
E lasciando alle spalle il Tevere, con il suo porto e il ponte marmoreo bianco, ci troviamo a riattraversare nuovamente il quartiere di Testaccio.
Un quartiere ricco di scuole, sia laiche che religiose: dalla fine del XVIII sec, infatti, fu designato come luogo didattico-educativo.
Tra i palazzi e l’architettura degli stabili, arriviamo fino al mercato, dove tra botteghe e banchi campeggia la Piscina di Agrippina (dentro al mercato di Testaccio).
Continuando la passeggiata entriamo in uno dei bei complessi dell’Istituto case popolari, con il suo cortile – giardino che accoglie le facciate di edifici continui che lo circondano. E questa è una delle principali caratteristiche del quartiere.
L’urbanistica che si sviluppò con edifici e progetti edilizi a partire dai primi anni del XIX sec. presenta strutture alveari realizzate dall’Istituto romano per le case popolari.
Fino ad arrivare agli stabili di via Marmorata che donano una connotazione più borghese e solenne del quartiere. Anche se la via mantiene ancora il nome dell’epoca imperiale, dove gli artigiani romani lavoravano il marmo direttamente lì, a pochi passi dal porto antico di Testaccio.
Parole, lingua e linguaggio, arte e le nuove tecnologie sono quel filo rosso con il quale mi diverto a tessere le mie giornate. Innovazione e sviluppo di nuovi orizzonti gli spunti che mi fa piacere incontrare. Giornalista, editor, copy writer e content media. Dopo la laurea in Filosofia del Linguaggio e della Mente a Napoli, mi trasferisco a Roma dove mi specializzo in comunicazione per il web e i nuovi media e per diversi anni sono caporedattore del mensile “Next Exit, creatività e lavoro” approfondendo temi di economia della cultura. Ho curato la pubblicazione di diversi progetti editoriali, tra cui Young Blood, annuario dei giovani artisti italiani, e RomaCreativa, per fare una mappatura dei creativi italiani nel mondo e nella capitale.
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