In un sabato mattina di un febbraio molto primaverile a Roma ci incontriamo con il gruppo organizzato con Rome central e il Meetup del Photography Social Club Roma, guidato da Osvaldo Sponzilli.
Questo nuovo tour a piedi, totalmente gratuito, è dedicato a La Porta Magica, Piazza Vittorio e il Mercato dell’Esquilino .
I partecipanti, fotografi amatoriali, dilettanti e professionisti o semplici amanti dell’arte si incontrano questa volta davanti a Panella, lo storico panificio di via Merulana, nel cuore di una Roma ancora assonnata.
L’appuntamento con Osvaldo Sponzilli e i fotografi del Social Club ha come meta la zona intorno a Piazza Vittorio Emanuele, nel quartiere Esquilino della capitale. Nel cuore di una Roma ancora assonnato ci si incontra davanti Panella, il panificio storico in Via Merulana.
{google_map}41.894224, 12.500749{/google_map}
I fotografi
Paola Noemi Antonelli :
Antonio Barbieri
Monica P (con iPhone 4s)
Igor Wolfango Schiaroli (con iPhone 6s)
Osvaldo Sponzilli
Itinerario a piedi
L’itinerario prevede la scoperta della Porta Magica e del Ninfeo di Alessandro Severo all’interno del giardino di Piazza Vittorio, la più grande piazza porticata di Roma, costruita nei primi anni dell’Unità d’Italia (tra il 1882 e il 1887). Attraversato il giardino, una visita alla vicina Chiesa di San Eusebio dove il 17 gennaio si svolge l’annuale benedizione degli animali in onore di S. Antonio abate.
Una breve passeggiata in direzione della Basilica di Santa Maria Maggiore alla volta della piccola, seminascosta e poco conosciuta Basilica di Santa Prassede (https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_di_Santa_Prassede) e, infine, l’ultima tappa allo storico mercato rionale, Nuovo Mercato Esquilino (http://www.meetart.it/tappa/559/)tra i più grandi di Roma. Una gita dentro le mura di una città che ha tanti lati nascosti e piccole perle artistiche da scoprire all’insegna di culti pagani e religiosi che nel tempo si sono sovrapposti e stratificati l’uno accanto all’altro.
Quando meno te lo aspetti le strade che percorri ogni giorno, gli angoli di una città che attraversi frettolosamente si trasformano offrendo al tuo sguardo disattento la vista di un piccolo scrigno pieno di tesori che non avresti mai immaginato.
Quante volte ti è capitato di fermarti alla solita sosta della metro o del tram e chiederti com’era prima questo posto? Cosa c’era 50, 100, 500 anni fa, qui?
Hai mai pensato alla storia urbana che pulsa lungo i vicoli, le stradine e i parchi disseminati nella città dove vivi? Se non fosse per luoghi consacrati alla memoria con piazze, strade e palazzi consacrati all’humana historiae, molti angoli della città resterebbero anonimi. Così il tour a piedi del 6 febbraio 2016 ci ha fatto addentrare in una zona di Roma magica!
A pochi metri dalla stazione Termini e da Porta Maggiore, nel quartiere che sorge a ridosso tra San Giovanni, Monti e parte dell’Esquilino un tempo sorgeva un colle con piazze, chiese e vie che sparirono per lasciar spazio a Piazza Vittorio Emanuele II (conosciuta più semplicemente come Piazza Vittorio), creata dall’architetto Gaetano Koch dopo la seconda metà del XIX sec., con le 280 colonne dei portici dei vistosi palazzi ottocenteschi (residenze di lusso per alloggi dei vicini Minsteri) che la circondano. Al centro un giardino che all’epoca rappresentava “un capolavoro di architettura paesaggistica: un anello di alti platani, cedri del Libano, magnolie e palme provenienti direttamente da Bordighera, dono della regina Margherita”.
Durante i lavori per la realizzazione di tutto il complesso furono trovate grandi fosse carnarie, memorie dell’antico cimitero dell’Esquilino, il cosiddetto “campo comune” o “scellerato” dove venivano sepolti schiavi, malfattori ed assassini. E scomparve anche Villa Palombara costruita nel 1653 dal marchese Massimiliano II Palombara estimatore di culti esoterici e alchemici. Della villa è rimasta soltanto la “Porta Magica” uno degli ingressi secondari dell’edificio, rimasta in eredità forse proprio per le leggende popolari che ne avvolgevano l’origine e la struttura di mistero. Si racconta, infatti, che la villa fosse luogo di incontro di alchimisti, maghi e scienziati alla ricerca della “pietra filosofale” che avrebbe avuto i poteri di trasformare i metalli in oro. E la porta, per questo chiamata “magica”, conterrebbe la formula per ottenere questa “Grande Opera” (la trasmutazione metallica, come compariva su alcuni manoscritti antichi d’alchimia) incisa sugli stipiti, sul frontone, sull’architrave e sulla sua soglia.
Ancora oggi la Porta è visibile in un angolo del giardino, recintata da grate e sorvegliata da una miriade di gatti, ai quali deliziose signore portano da mangiare. E all’entrata di questo cancello chiuso abbiamo incontrato.
La Porta Magica è una delle testimonianze alchemiche più importanti al mondo e a custodirla, come due sentinelle a protezione di un luogo sacro, ci sono due grandi statue gemelle, di marmo, dalle sembianze grottesche del dio egizio Bes, si dice provenienti dal Tempio di Serapide. Nonostante le diverse interpretazioni la Porta Magica, chiamata anche “Alchemica” o “dei Cieli”, rappresenta un grande mistero rimasto ancora irrisolto dopo oltre tre secoli.
LA LEGGENDA DELLA PORTA MAGICA
Secondo la leggenda il marchese di Palombara ospitò, per una notte, uno sconosciuto che era in grado di saper compiere la “Grande Opera” utilizzando un tipo di erba. Il mattino seguente fu trovato un mucchietto di oro purissimo e un foglietto pieno di formule magiche, mentre dello sconosciuto neppure l’ombra. Il marchese e altri illustri alchimisti non riuscirono però a interpretare né tantomeno ad utilizzare i simboli e le formule lasciate. Fu così, che il marchese deluso decise di far riprodurre sulla porta tutti i simboli e la formula: resa a disposizione dei più fortunati e sapienti studiosi della materia.
Campeggia sulla Porta Magica un disco marmoreo sul cui bordo sono incise le seguenti parole: “TRIA SUNT MIRABILIA DEUS ET HOMO MATER ET VIRGO TRINUS ET UNUS” che significa “Tre sono le meraviglie: Dio e Uomo, Madre e Vergine, Trino e Uno”.
All’interno di questo disco si trova il Sigillo di Salomone, noto come Stella di Davide: i due triangolari equilateri incrociati. Considerato un potente talismano di protezione per le pratiche magiche, in alchimia simboleggia l’equilibrio cosmico, perché unione tra fuoco e acqua. Sovrapposto al Sigillo vi è la croce dei 4 elementi, simbolo della Terra, sovrapposta ad un cerchio nel quale si legge in latino “CENTRUM IN TRIGONO CENTRI” – “Il Centro è nel Triangolo del Centro”; all’interno si può notare un altro cerchio più piccolo con un punto al centro: l’oculus, il simbolo alchemico del Sole e dell’oro.
Sull’architrave, sotto la scritta ebraica “Ruah Elohim” (lo Spirito di Dio), vi è la scritta latina”HORTI MAGICI INGRESSUM HESPERIUS CUSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHIDAS DELICIAS NON GUSTASSET IASON” – “Un drago custodisce l’ingresso del giardino magico delle Esperidi e, senza Ercole, Giasone non avrebbe gustato le delizie della Colchide”.
Sugli stipiti vi sono sei iscrizioni situate sotto altrettanti segni dei Pianeti, associati ai corrispondenti metalli.
In alto, a sinistra, Saturno-piombo: “QUANDO IN TUA DOMO NIGRI CORVI PARTURIENT ALBAS COLUMBAS TUNC VOCABERIS SAPIENS” – “Quando nella tua casa neri corvi partoriranno bianche colombe allora sarai detto saggio”;
in mezzo, a sinistra, Marte-ferro: “QUI SCIT COMBURERE AQUA ET LAVARE IGNE FACIT DE TERRA COELUM ET DE COELO TERRAM PRETIOSAM”, “Chi sa bruciare con l’acqua e lavare con il fuoco fa della terra cielo e del cielo terra preziosa”;
in basso, a sinistra, Mercurio-mercurio: “AZOT ET IGNIS DEALBANDO LATONAM VENIET SINE VESTE DIANAM” – “Quando l’azoto e il fuoco imbiancheranno Latona, Diana verrà senza veste”;
in alto, a destra, Giove-stagno: “DIAMETER SFERAE THAU CIRCULI CRUX ORBIS NON ORBIS PROSUNT”, “Il diametro della sfera, il thau del circolo, la croce del globo non giovano ai ciechi”;
in mezzo, a destra, Venere-rame: “SI FECERIS VOLARE TERRAM SUPER CAPUT TUUM EIUS PENNIS AQUAS TORRENTUM CONVERTES IN PETRAM” – “Se farai volare la terra sopra la tua testa, con le sue penne convertirai in pietra le acque dei torrenti”;
in basso, a destra, Sole-oro: “FILIUS NOSTER MORTUUS VIVIT REX AB IGNE REDIT ET CONIUGIO GAUDET OCCULTO” – “Nostro figlio morto vive, torna re dal fuoco e gode dell’accoppiamento occulto”.
Sulla soglia vi è la scritta “SI SEDES NON IS” – “Se siedi non vai”, ma che si può leggere anche come un palindromo da destra a sinistra “SI NON SEDES IS” – “Se non siedi vai”.
Sotto, ai lati di un segno complesso, “EST OPUS OCCULTUM VERI SOPHI APERIRE TERRAM UT GERMINET SALUTEM PRO POPULO” – “È opera occulta del vero saggio aprire la terra affinché generi salvezza per il popolo”.
Nell’angolo a nordovest dei giardini della piazza si trovano i resti del “Ninfeo di Alessandro Severo”, fatto costruire dall’imperatore come “mostra” di una diramazione dell’Aqua Iulia.
Durante il Rinascimento assunse il nome di “Trofei di Mario” a causa dei due rilievi marmorei di età domiziana, rappresentanti trofei per celebrare le campagne germaniche e daciche di Domiziano dell’anno 89, che rimasero qui fino al 1590, quando Sisto V li fece trasportare in Campidoglio e collocare sulla balaustra della Cordonata. La costruzione a pianta trapezoidale del Ninfeo era volta verso occidente ed era articolata su tre piani: due comprendevano ambienti vari e canalizzazioni, mentre il terzo doveva presentarsi come un grande arco trionfale sovrastato da un attico sormontato da una quadriga imperiale e da altre statue (come raffigurato nelle monete). Distrutta la parte superiore, rimase la parte inferiore costituita da una nicchia centrale semicircolare che ospitava una statua (forse quella di Oceano) ed era fiancheggiata da due archi aperti, dove erano collocati i due trofei di marmo denominati “Trofei di Mario”. La costruzione è tutta in opera laterizia e doveva essere interamente rivestita di marmo.
Fontana chiamata “fritto misto”
Un piccolo gioiello che spunta timidamente tra alberi e aiuole al centro del giardino, la particolarità di questa fontanaè data dal gruppo marino di tritoni, delfini ed un grosso polipo dal quale deriva il nome “fritto misto”, come i romani avevano ribattezzato il gruppo scultoreo che Mario Rutelli (bisnonno di Francesco Rutelli) aveva scolpito per la fontana delle Najadi, prima che venisse sostituito dall’attuale gruppo del “Glauco”, sempre opera del Rutelli.
Appartata, poco visibile perché situata all’angolo con via Napoleone III, sorge l’antica chiesa dedicata a S.Eusebio perché sorta (secondo la tradizione) sulla casa del martire Eusebio, condannato dall’imperatore Costanzo II a morire di inedia nella sua stessa casa. L’abitazione, trasformata in “titulus Eusebii” da papa Liberio sin dal IV secolo, è stata adattata a chiesa da papa Zaccaria nel 750. Dopo vari restauri eseguiti durante i pontificati di Adriano I, Leone III e Gregorio IV, fu ricostruita sotto Onorio III e Gregorio IX, quando fu dedicata ai Ss.Eusebio e Vincenzo. Alla chiesa fu annesso in seguito un convento, affidato durante il Medioevo ai monaci Celestini, che lo fecero ampliare nel 1588; l’aspetto attuale si deve alla ricostruzione della facciata effettuata nel 1711 da Carlo Stefano Fontana e al rifacimento degli interni ad opera di Niccolò Picconi nel 1759. Oggi l’ingresso della chiesa appare sopraelevato rispetto al precedente piano strada, esistente prima dei lavori di sbancamento della piazza di metà ottocento. La scalinata, chiusa da un cancello in ferro, conduce al porticato a cinque arcate sorrette da pilastri con lesene, al di sopra del quale cinque finestre con cornici e timpani si aprono fra lesene sormontate da capitelli ionici. Sopra ancora l’iscrizione dedicatoria datata 1711 e quindi la cornice che, in corrispondenza dell’arcata centrale, si apre ad arco racchiudendo uno stemma. La balconata che chiude il prospetto è ornata da statue di Santi e da due angeli inginocchiati, mentre il timpano della chiesa, sormontato dalla grande croce metallica, è arretrato rispetto alla facciata. L’interno è a tre navate. Tra le particolarità di questa chiesetta: l’affresco sulla volta della navata centrale raffigura la “Gloria di S.Eusebio”, opera del 1759 di Raffaele Mengs con un curioso particolare perché uno degli angeli è in realtà un’angiolessa e raffigura le sembianze della donna amata dall’artista; il cinquecentesco coro ligneo con gli stalli ed il leggio in noce intagliata a figure grottesche, unico esempio a Roma. Dalla sagrestia è visibile l’elegante chiostro su due ordini di arcate separate da paraste, al centro del quale è situata una fontana. Nel monastero annesso alla chiesa ebbe sede una delle prime stamperie romane, quella di Giorgio Lauer, nella quale vennero stampate le opere di S.Giovanni Crisostomo annotate da Francesco Aretino. Ma l’aspetto popolare che rende questa chiesa unica è legata al rito della benedizione degli animali che ogni anno il 17 gennaio, festa di S.Antonio Abate, nello spazio antistante, si svolge questa caratteristica benedizione qui trasferita, per motivi di traffico, dalla vicina chiesa di S.Antonio Abate.
La chiesa ha il nome della S.Prassede, sorella di S.Pudenziana e figlia del senatore romano Pudente, discepolo di S.Paolo. Secondo l’antica leggenda Prassede e Pudenziana sarebbero state uccise perché seppellivano i martiri delle persecuzioni di Antonino Pio nei pozzi situati nel vasto terreno di proprietà del padre. La chiesa, fondata nel IX secolo da papa Pasquale I sull’antico “titulus Praxaedis” della fine del V secolo, ha subito diversi restauri nei secoli XV, XVII e XIX, tanto da modificarne le caratteristiche più originarie. Nonostante i vari interventi l’edificio conserva ancora la struttura medioevale nel protiro di accesso situato lungo via di S.Martino ai Monti, che immette, dopo una lunga scala, in un cortile nel quale si erge la semplice facciata in mattoni della chiesa, secondo il disegno originale voluto da Pasquale I. Il cortile conserva i resti di un colonnato con capitelli corinzi appartenuto probabilmente alla basilica del V secolo.
Ma la basilica ha anche un ingresso laterale, dal lato di via di S.Prassede dove siamo arrivati attraversando via di san Vito e l’Arco di Galliano tra i profumi del quartiere multietnico e le piacevoli grida di bambini.
Una visita veloce in questa chiesa che è tra le più venerate di Roma per ammirare la bellezza della struttura romanica che si fonde con strutture medievali e ospita una cappella laterale ricoperta da mosaici bizantini. Artisti bizantini decorarono la chiesa di mosaici dorati: “quelli nell’abside e nel coro raffigurano gli antenati in vesti bianche, gli eletti che guardano giù dall’alto dei cieli, agnelli dalle zampe sottili, palme dal bel ciuffo piumato e vivaci papaveri rossi”. L’interno della Cappella, a volta, con colonne angolari, è interamente ricoperto da mosaici e così splendente da essere stato chiamato “il Giardino del Paradiso”. I mosaici rappresentano le figure del Cristo, della Madonna, di S.Prassede e dell’episcopa Teodora con il nimbo quadrato dei viventi. Nella nicchia sopra l’altare vi è la raffigurazione, a mosaico, della “Madonna con il Bambino”. Il pavimento è un antichissimo esempio di “opus sectile” a marmi policromi. In una nicchia a destra dell’ingresso è custodita una colonna portata a Roma da Gerusalemme dal cardinale Giovanni Colonna nel 1223: la “Colonna della Flagellazione” che secondo la tradizione è un frammento della colonna alla quale fu legato Gesù per essere flagellato.
L’interno era costituito da tre navate divise originariamente da 12 colonne di granito a trabeazione rettilinea, ma oggi ne sono rimaste sei ridotte a pilastri, ai quali si appoggiano archi trasversali nelle navate minori. Nel centro del rifatto pavimento cosmatesco un disco di porfido ricopre il pozzo nel quale la santa raccolse i resti ed il sangue dei martiri: si parla di diverse migliaia e proprio per questo Nell’abside S.Prassede e S.Pudenziana stanno ai lati di Cristo, circondate dal paterno abbraccio di S.Paolo e S.Pietro. Nella cripta, all’interno di due sarcofagi strigilati, sono contenute le reliquie delle due Sante. A metà della navata destra si trova la Cappella di S. Zenone, uno dei più importanti monumenti bizantini in Roma, eretta da Pasquale I come mausoleo della madre Teodora. Le due colonne di granito nero e la ricca cornice curva sostengono un’urna cineraria con i resti di Zenone, sacerdote e martire.
Altre tradizioni legate a questa chiesa dicono che la lunga tavola di marmo posta a sinistra della navata serviva da letto alla santa che vi dormiva per penitenza, mentre l’urna posta sotto l’architrave d’ingresso racchiuda le ossa di S.Valentino, protettore degli innamorati.
Le due importanti gradinate di rosso antico portano all’altare maggiore e al piano sottostante si può scendere nella cripta che conserva uno dei più antichi altari costruiti dai primi martiri dell’Impero e qualche resto di affresco.
Arrivati a metà mattinata il gruppo torna indietro sui propri passi per attraversare nuovamente Piazza Vittorio e far sosta al Mercato di Piazza Vittorio noto per le spezie, frutte e verdure esotiche, alimenti e vestiti provenienti dai paesi arabi e asiatici.
Una pausa tra i banchi del pesce, delle verdure, della frutta secca e tra quelli di tessuti indiani, è arrivata l’ora del pranzo ed è stato piacevole aver passato qualche ora alla scoperta di questa parte di Roma “magica” con chi i compagni di escursioni cittadine del meet up.
Arianna Pasquale
[codepeople-post-map]
Parole, lingua e linguaggio, arte e le nuove tecnologie sono quel filo rosso con il quale mi diverto a tessere le mie giornate. Innovazione e sviluppo di nuovi orizzonti gli spunti che mi fa piacere incontrare. Giornalista, editor, copy writer e content media. Dopo la laurea in Filosofia del Linguaggio e della Mente a Napoli, mi trasferisco a Roma dove mi specializzo in comunicazione per il web e i nuovi media e per diversi anni sono caporedattore del mensile “Next Exit, creatività e lavoro” approfondendo temi di economia della cultura. Ho curato la pubblicazione di diversi progetti editoriali, tra cui Young Blood, annuario dei giovani artisti italiani, e RomaCreativa, per fare una mappatura dei creativi italiani nel mondo e nella capitale.