Giovani ballerine ritratte in angoli architettonici di tutto il mondo in movimenti sinuosi, scenici e familiari arricchiscono la bellezza degli scatti di di Simone Ghera (architetto e fotografo romano) in mostra fino al 18 marzo alla Galleria Candido Portinari, all’interno dell’Ambasciata del Brasile (nella sede di Piazza Navona).
Cose se esistesse un filo ideale tra la monumentale fontana del Bernini e il progetto fotografico di Ghera, nel cuore di una delle più belle piazze d’Italia è stata inaugurata da fine febbraio la mostra DANCER INSIDE BRAZIL, a cura di Max De Tomassi grazie al patrocinio della stessa Ambasciata e al sostegno della compagnia aerea Tap, dopo i successi del format ottenuti in sei anni di esposizioni nelle principali città d’Europa.
Una serie di immagini in cui la danza è stata l’ispirazione del Ghera fotografo. Considerata come linguaggio universale del corpo riconoscibile e leggibile in tutto il mondo, con caratteristiche specifiche che cambiano da luogo a luogo ha suscitato in quella parte di Ghera architetto e sensibile alla composizione dei posti che ha visitato la visione di un’unione “così, dopo essere stato in città così urbanisticamente diverse quali Praga, Vienna, Londra, Milano, Berlino, Mosca, San Pietroburgo e Baku, il fotografo affronta gli immensi spazi di Rio De Janeiro per integrare in un solo scatto l’arte del movimento e la complicità del linguaggio Natura-Ingegneria-Cultura”.
Da cosa è nata la passione per la danza come soggetto fotografico?
Va detto subito che, in effetti, la danza per me ha una valenza soprattutto come soggetto fotografico. L’interesse per le ballerine (classiche ma anche di altri tipi di danza – moderna, tango, flamenco, ecc.) è nato invece in maniera puramente casuale: durante un corso di fotografia, dovendo sviluppare un tema a piacere, ho iniziato a fotografare ballerine in studio. Da lì sono passato alle location esterne e piano piano, guidato dall’istinto, e in modo quasi inconsapevole, è nato spontaneamente il progetto DANCER INSIDE, dedicato alla danza e all’architettura. Il progetto è focalizzato su due temi strettamente connessi: la danza, intesa come linguaggio universalmente comprensibile, e l’architettura, intesa come espressione di luoghi, delle culture, delle latitudini sempre diverse a seconda dei paesi esplorati. In questo senso il mio interesse specifico non è tanto sulla danza, ma sulle ballerine, viste come elemento compositivo ed espressivo di una costruzione geometrica, inserita in un contesto architettonico.
L’idea del progetto nasce nel 2008 frequentando la Scuola Romana di Fotografia ha poi avuto modo di sviluppare in particolare il progetto Dancer Inside, focalizzato sul mondo della danza e dell’architettura. Vi sono poi alcuni lavori paralleli sviluppati negli ultimi anni quali: “Danza ed Equitazione”, “Danza e Tauromaquia”, “Ballerine in stato Interessante”. E proprio la terra carioca diventa oggetto dell’esposizione di immagini contestuali entro cui sono immortalate ballerine di danza classica, soggetto in cui Ghera si è specializzato negli ultimi anni.
Come è cambiato nel tempo la combinazione tra ballerine e spazi urbani?
Credo che l’interazione della ballerina e della danza, in generale, e gli spazi urbani, si è sviluppata già da parecchi anni. E’ un modo per avvicinare la danza alla nostra vita quotidiana.
Come scegli i luoghi, qual è il tipo di ricerca che porta ad associare quello spazio architettonico a una ballerina?
Le location vengono scelte spesso in modo improvvisato, qualunque banale contesto urbano può trasformarsi in un interessante ambiente di lavoro “geometrico” e “prospettico”, la fotografia è molto creativa e a volte basta poco per trovare quello che si cerca. Altre volte invece individuo degli ambienti specifici e rappresentativi di un luogo e mi organizzo per esplorarlo. Quello che mi affascina di un luogo, è la potenzialità di lavorare con le linee e gli orizzonti, in modo totalmente libero.
Gli scatti di Simone Ghera, caratterizzati da orizzonti, gravità, punti di vista e superfici, immergono le ballerine in una dimensione di spazio assoluto in cui muoversi in maniera puramente arbitraria. «Anche se il movimento è considerato l’essenza della danza – afferma Ghera – quello che mi attrae sono gli angoli statici e le linee create dai danzatori stessi. La fotografia permette di catturare un dettaglio architettonico, un intreccio di linee, sguardi prospettici che vanno oltre uno sfondo o di un soggetto in primo piano. Cerco così di avvicinarmi alla danzatrice come a “una persona”, catturando il duro lavoro alla sbarra, il sudore, l’espressione degli occhi esausti, sfruttando le linee e i dettagli durante l’esercizio e il momento di relax. In breve sono molto più interessato alla formazione quotidiana di una ballerina piuttosto che alla performance sul palco. Di solito mi piace posizionare i miei soggetti su un lato piuttosto che al centro del telaio, dando grande importanza allo sfondo, come anche su un orizzonte basculante che offre più opzioni per guardare la scena.»
Tra le diverse città e le ballerine, c’è un’anima che vuoi trasmettere con i tuoi scatti… è legata anche ai luoghi? E qual è?
I luoghi sono fondamentali. Nelle immagini, ad esempio, ci sono spesso dettagli sulla natura dei materiali, che ci danno delle informazioni sul luogo in cui avviene la scena. Un rivestimento o una colonna in travertino indicano che ci troviamo a Roma o nelle sue vicinanze…
Quale il luogo che ti ha lasciato più suggestioni, e perché?
Non saprei fare una graduatoria, ogni luogo che mi ispira delle immagini è affascinante. Semplicemente ci sono luoghi che conosco meglio ed ho potuto approfondire meglio, altri che ho esplorato più superficialmente.
I prossimi progetti di rilievo nel 2016 riguardano mostre a New York (giugno) e Rio de Janeiro (novembre).
Altri progetti futuri, sempre con la danza?
Ho in progetto tra le altre cose, di avvicinarmi di più ad altri tipi di danza (Tango, flamenco, hip-hop, capoeira, ecc.), finora ho avuto esperienze fondamentalmente con il classico, che comunque mi affascina moltissimo.
BIO
Simone Ghera nasce a Roma nel 1959 e si occupa di fotografia molto presto, seguendo le orme del padre. Dallo studio sullo sviluppo nella sua piccola camera oscura alle immagini che si stagliano in maniera contrastante sulle lenzuola bianche, l’attenzione di Ghera negli anni si concentra sull’utilizzo della luce, che considera uno degli aspetti più creativi della fotografia.
Nelle immagini foto dell’inaugurazione della mostra con un’azione coreografica dal vivo di ballerine professioniste, coordinate da Raffaella Appia nella performance dal titolo “Contaminazioni” (DIA Junior Company Formazione Bartolomei). In contemporanea, la pittrice russa Anastasia Kurakina, ospite dell’evento, ha dato vita ad un live painting.
Parole, lingua e linguaggio, arte e le nuove tecnologie sono quel filo rosso con il quale mi diverto a tessere le mie giornate. Innovazione e sviluppo di nuovi orizzonti gli spunti che mi fa piacere incontrare. Giornalista, editor, copy writer e content media. Dopo la laurea in Filosofia del Linguaggio e della Mente a Napoli, mi trasferisco a Roma dove mi specializzo in comunicazione per il web e i nuovi media e per diversi anni sono caporedattore del mensile “Next Exit, creatività e lavoro” approfondendo temi di economia della cultura. Ho curato la pubblicazione di diversi progetti editoriali, tra cui Young Blood, annuario dei giovani artisti italiani, e RomaCreativa, per fare una mappatura dei creativi italiani nel mondo e nella capitale.