Un treno metropolitano per raccontare storie da tutto il mondo
Incontriamo i Traindeville nel loro Home Studio, “The Music Room”. Una stanza grande, luminosa e piena di strumenti, in pieno Centro Storico di Roma, dove il duo ha registrato tutte le tracce del cd Shadows and Lights.
Un lavoro che è stato concepito in viaggio, durante l’ultima permanenza in India del duo, nell’inverno tra il 2013 e il 2014, ma che miscela sapientemente i suoni e i sapori di tutti i trascorsi musicali di Paolo Camerini e Ludovica Valori, artisti attivi da anni sulla scena folk italiana.
Partiamo dal vostro nome: cosa significa?
Ludovica: Il nostro nome, Traindeville, è un gioco di parole. Abbiamo voluto rendere omaggio al film del 1998 Train de Vie di Radu Mihaileanu – una storia ironica e bellissima che “inventa” un incontro tra zigani ed ebrei in fuga dall’orrore delle persecuzioni naziste – ma anche creare l’immagine di un vero “Treno metropolitano” perché il nostro background culturale e musicale è sicuramente quello della grande città, della metropoli in continuo sviluppo.
Paolo: Un incontro di tradizione e modernità che cerchiamo di riprodurre nel nostro sound, che pur vedendo protagonisti strumenti acustici come il contrabbasso e la fisarmonica, non si fa problemi a mescolarsi con la batteria, i loop, gli archi preparati. Non amiamo rimanere nei compartimenti stagni dei generi musicali; infatti è difficile classificarci ma non ci poniamo il problema.
Voi vivete a Roma ma avete viaggiato molto: qual è il vostro rapporto con questa città?
Ludovica: Il mio personale rapporto di odio-amore con Roma è ben rappresentato dalla canzone Fatica, l’unica canzone in dialetto romanesco contenuta nel cd!… (ride)
Scherzi a parte, è chiaro che Roma è una città fantastica, sempre pronta a stupirti con sprazzi di bellezza infinita anche nei momenti e nei luoghi più inaspettati.
Io vivo nel rione Monti da quando sono nata: mi ritengo molto fortunata ma devo dire che alcuni cambiamenti non mi rendono felice perché vedo che oggi tutto è diventato molto turistico, molto più anonimo rispetto al passato. Credo quindi che sia importante cercare di tutelare l’identità dei quartieri romani – non solo del Centro storico, intendiamoci! – anche attraverso la memoria e la riscoperta della storia recente.
In questo senso con Traindeville abbiamo avviato una bella collaborazione con Irene Ranaldi, che è una sociologa urbana e ha una grande passione per l’esplorazione “creativa” della metropoli.
Irene sarà con noi all’Asino che Vola e parlerà della sua Associazione Culturale Ottavo Colle, con la quale organizza passeggiate in luoghi particolari della città, unendo spesso la musica e la poesia al racconto di luoghi significativi come il Monte dei Cocci a Testaccio o il Cimitero Acattolico della Piramide, senza dimenticare quartieri come il Trullo, dove abbiamo fatto un reading di alcune mie poesie assieme a quelle dei Poeti Anonimi del Trullo, nell’ambito del Festival della Poesia di Strada, lo scorso ottobre.
Paolo: anche io sono romano di nascita ma a differenza di Ludovica ho vissuto in molte zone della città, anche al Pigneto – prima che diventasse una zona “alla moda”! (ride)
La quotidianità e gli spostamenti sono sicuramente stressanti in una città così grande e caotica, devo dire comunque che ogni volta che torniamo dai nostri viaggi mi rendo conto dell’unicità, del fascino incredibile che contraddistingue la nostra città. Ecco, forse noi romani dovremmo viaggiare un po’ di più per apprezzare e valorizzare meglio la città che ci ha dato i natali.
Dal punto di vista artistico, cosa vuol dire per voi essere romani?
Paolo: diciamo che io ho sempre giocato con la romanità e con il dialetto: con la mia prima band, i Cyclone (storico gruppo Psychobilly nato verso la fine degli anni ’80), già ci divertivamo a citare brani come “Tanto pe’ Cantà” di Petrolini all’interno delle nostre canzoni.
Poi con le Nuove Tribù Zulu, la band che ho fondato assieme a mio fratello Andrea Camerini e al batterista Roberto Berini (entrambi già presenti nella formazione dei Cyclone), la città è stata il palcoscenico ideale perché le nostre prime esibizioni sono state proprio per strada, in stile “buskers”, in luoghi stupendi come Campo de’ Fiori o Piazza Navona.
Ludovica: Sì, possiamo dire che in questo Roma è perfetta – basti pensare a Via dei Fori Imperiali alla domenica mattina: uno scenario unico al mondo! E infatti qualche volta ci siamo esibiti anche lì, in perfetto stile “buskers”.
Romanticismo a parte, la situazione non è semplicissima. Ci sono, è vero, tanti locali e molta gente che suona, ma non penso si possa parlare di una vera e propria “scena romana”. Noi pensiamo che sia molto importante fare rete e scambiarsi contatti ed esperienze ma il quadro è abbastanza critico: certo il pubblico dei concerti è molto cambiato negli anni, e questo probabilmente ha fatto sì che anche la mentalità di molti organizzatori e musicisti sia cambiata. C’è meno propensione al rischio, si preferisce andare sul sicuro e questo per un artista è veramente deleterio.
Ludovica, tu scrivi spesso in dialetto romanesco, come mai?
Mi sono sempre divertita molto a scrivere in romanesco: lo trovo più ritmico, più fresco rispetto all’italiano. Ho iniziato a riscoprire il repertorio delle canzoni romane suonando con Ardecore e BandaJorona, le prime band che hanno riportato l’attenzione sulla canzone romana – che prima non godeva di ottima reputazione, anche per via dell’ignoranza dei più. Ci tengo sempre a precisare che la canzone romana non è solo lo stornello da osteria, o la “Società dei Magnaccioni”, è anche poesia, racconto, melodramma.
Iniziare a scrivere canzoni e poesie per parlare della Roma di oggi – una Roma che non è solo bellezza da cartolina ma anche incontro tra culture, luogo di conflitti e contraddizioni – è stato il passo successivo. Il dialetto, ancora oggi considerato dal mondo della cultura ufficiale una “lingua di serie B”, è per me un mezzo formidabile, anche se va usato con attenzione.
Avete prodotto da soli il vostro cd “Shadows and Lights”, pur avendo entrambi alle spalle una lunga esperienza discografica – Paolo con i Cyclone prima e le Nuove Tribù Zulu poi, Ludovica con Ardecore, Nada, BandaJorona e tante altre collaborazioni.
Potete spiegarci il perché di questa scelta?
Paolo: in questo particolare momento della discografia italiana, è difficile per un gruppo come il nostro – che canta in varie lingue, che utilizza strumenti particolari e parla di argomenti non sempre facilissimi – trovare l’appoggio di un produttore o di un’etichetta: figure professionali che sono comunque sempre più rare nel desolato panorama del nostro paese. In pochi anni le cose sono cambiate drasticamente e bisogna farci i conti.
Noi abbiamo voluto mantenere la massima autonomia per poter procedere con i nostri tempi e a modo nostro, quindi ci siamo organizzati nel nostro studio e con la collaborazione di tanti musicisti – che sono anche carissimi amici – abbiamo costruito pian piano le tracce di questo disco.
Lavorare in uno home studio ci ha permesso di non andare di fretta, di sperimentare senza lo stress che caratterizza a volte le registrazioni in studio, dove l’orologio corre e raramente ci si può permettere di cercare soluzioni creative. Del resto è una modalità che stanno adottando molti artisti indipendenti.
Perché la serata del 25 novembre è speciale? Chi ci sarà sul palco assieme a voi?
Ludovica: Anzitutto è una data particolare perché è la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e noi siamo da sempre in prima linea sui temi sociali. Io poi sono cresciuta a pane e femminismo!… (ride)
Sul palco con noi ci saranno tanti bravissimi musicisti – Umberto Vitiello alle percussioni, Adriano Dragotta al violino, Emiliano Maiorani alla chitarra e all’ukulele, Roberto Magnasciutti al bouzouki e alla chitarra – ma ci saranno anche gli interventi della webzine Slowcult che ha partecipato alla realizzazione di questa serata e soprattutto di Irene Ranaldi, sociologa e giornalista che ho menzionato prima, e di Sonia Ravera, attivista impegnata nell’assistenza ai migranti del Centro Baobab e creatrice di tsibah.org, un collettivo di donne che crea azioni concrete di collaborazione per un futuro migliore. Ci sarà l’allegra e colorata brigata di danzatrici Zigana Clan, capitanata da Anastasia Francaviglia, per animare i brani più gypsy del nostro repertorio.
Last but not least, la voce ruvida e affascinante di Fabio Magnasciutti, noto illustratore e cantante degli Her Pillow, gruppo Irish Rock nel quale ho suonato per tanti anni: Fabio ha cantato insieme a me “Love Will Tear Us Apart”, l’unica cover presente nel disco. Un brano storico dei Joy Division, rivisitato in chiave folk. Perché le nostre radici sono nella musica tradizionale ma anche negli anni ’80.
Appuntamento dunque all’Asino che Vola, in Via Antonio Coppi 12D (Zona Furio Camillo – P.za Zama) Mercoledì 25 novembre 2015 alle ore 22 per una serata all’insegna della musica d’autore, dell’incontro tra culture e dell’impegno sociale.
Sito web uffciale: www.traindeville.com
Facebook page: www.facebook.com/traindeville
VIDEO:
Amante dell’arte, della musica e della letteratura – Laureata in DAMS presso l’Università Roma Tre.